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PROPRIETA' PRIVATA
(NUE PROPRIETE')
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 maggio 2007
 
di Joachim Lafosse, con Isabelle Huppert, Jérémie Renier, Yannick Renier (Belgio, 2006)
 
Una madre resta sola. Con due figli. E una casa in mezzo alla campagna; che i figli vogliono conservare, ad ogni costo, fino alle conseguenze più estreme. Per continuare, anche se ormai adulti, con la playstation sul divano, il pingpong sotto il portico, la pesca nello stagno; e, ovviamente, cena e bucato. Mentre la madre vorrebbe venderla, la casa, per rifarsi la vita. Sempre la famiglia, la coppia, i figli: come nel già folgorante esordio di FOLIE PRIVEE, con la cinepresa ipersensibile del giovane belga che si incollava parossisticamente a Jan che, respinto dalla moglie, come nel mito di Medea trascinava il figlioletto alla morte, piuttosto che accettare la separazione.

Sbaglierò, ma Joachim Lafosse è ormai l'erede di Maurice Pialat; con un pensiero ai Cassavetes, magari ai Ken Loach: tutta gente immensa nel privilegiare l'istante presente. Nell'arte di captare la fragile, meravigliosa preziosità del momento; la sua sconvolgente carica di verità. Vicinanza inconfondibile, allora, con gli attori; e vibrazione dei sentimenti, colti quasi casualmente. Ma pure peso, fisicità della materia, degli oggetti che trasmettono il senso del quotidiano, le sottovesti sdrucite, i letti gualciti, l'asse da stiro. Straordinaria Isabelle Huppert, rassegnata o ribelle; che fa sua con istintiva animalità l'esperienza di ogni donna, di ogni madre. E terribilmente veri, disincantati e fragili, incoscienti e crudeli, Jérémie e Yannick Renier (effettivamente fratelli nella vita), nel loro rifiuto di farsi adulti, di assumere le scadenze inevitabili della vita. O anche solo quelle della condizione femminile.

La progressione drammatica così forte e naturale di NUE PROPRIETE' non nasce da una storia (le storie sono tutte eguali): ma dalla possibilità di penetrare sempre più intimamente nella verità del momento. Filmato con un rigore che circoscrive lo spazio quasi a isolarne, a preservarne l'abnorme e degenerata interrogazione lancinante, oltre che sul disagio esistenziale e sociale, sulla ragione della nascita della violenza. E sul concetto così difficile di verità e di comprensionata intimità familiare, tutto quanto appartiene all'istante vissuto permette così.


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